Allenare la fatica muscolare: strategie tra allenamento e nutrizione

Posted by Elena Casiraghi 8 Maggio 2019 2 Comments 4573 views

Fatica muscolare | Nutrizione

È facile parlare di fatica quando si tratta di sport. L’associazione tra le due viene quasi spontanea. Ma la fatica non è tutta uguale. Esiste un tipo di fatica che ha un’origine muscolare e una, invece, nervosa. Gli scienziati stanno ancora discutendo quale nasca per prima: è la fatica muscolare che influenza quella nervosa o viceversa? Non vi è ancora un punto di incontro tra i due “partiti”, nel frattempo però, gli atleti continuano a patirla e desiderano sempre più conoscere come prevenirla.

Per comprendere quali strategie possano essere utili nel limitare l’insorgere della fatica, è necessario conoscere come essa si origina. La fatica muscolare sembra essere caratterizzata dalla riduzione o dall’esaurimento delle sostanze che costituiscono i depositi energetici contenuti nel muscolo e da un accumulo del acido lattico e altre scorie che hanno la proprietà di inibire l’eccitabilità delle fibre muscolari. Anche la disidratazione sembra favorire l’insorgere della fatica muscolare. Ma sia chiaro che si tratta di un processo reversibile: i muscoli, resi ineccitabili dalla fatica, riacquistano le loro normali capacità contrattili dopo un adeguato periodo di riposo durante il quale vengono allontanati i cataboliti tossici e ripristinate le riserve energetiche cellulari.

Dal calcio alla maratona: la fatica muscolare colpisce chiunque

La fatica muscolare può colpire tutti gli sportivi, dalle distanze brevi della corsa, dello sci di fondo, del ciclismo, del triathlon e del nuoto, fino a quelle prolungate, cioè all’endurance. Anche i giocatori dei vari sport di squadra la patiscono. Uno studio del 1994 (Bangsbo et al.) ha verificato che nel campionato danese di prima e seconda divisione i calciatori, indipendentemente dal ruolo in campo e dall’andamento della partita, riuscivano a cimentarsi in una quantità inferiore di corsa ad alta intensità negli ultimi 15 minuti, in confronto al primo quarto d’ora del match. Nel contempo, hanno osservato che i giocatori sostituiti ed entrati in campo nell’ultima fase del gioco, e dunque meno affaticati, riuscivano a sostenere una quantità di corsa superiore del 25% rispetto ai compagni in campo. Nel 2008, il professor Ferretto Ferretti ha appurato che il calo di efficienza nel finale della partita si ha anche nel campionato italiano di serie A. Sempre in questa divisione, il Professor Enrico Arcelli nel 2010 osservò che i goal realizzati nell’ultimo quarto d’ora di partita tendono ad aumentare rispetto ai primi 15 minuti. E che giocatori entrati in campo nell’ultima fase segnavano più reti rispetto a chi era in campo dall’inizio. Questo accade perché la fatica muscolare influisce di più sulla capacità dei difensori di impedire il tiro in porta degli attaccanti che sulla capacità di questi ultimi di tirare. Anche la maratona ha la sua fatica che si manifesta puntualmente intorno al trentesimo chilometro. Gli inglesi lo chiamano banking, ovvero sbattere contro il muro. Con questo termine, infatti, si definisce la crisi energetica alla quale può andare incontro il maratoneta. Ma “sbattere contro il muro” non è un passaggio obbligato. È possibile evitarlo, a patto di sapere come fare. La fatica, quindi, è un evento fisiologico che si può allenare.

3 strategie per prevenire la fatica muscolare

Parti con le riserve di glicogeno sature

Gli aspetti nutrizionali sono molto importanti se si vuole gestire la fatica muscolare. È fondamentale iniziare l’esercizio (allenamento o competizione) con le riserve di glicogeno colme, o meglio, evitando una loro carenza – a patto che l’allenamento non sia volutamente un “train low”. Per fare questo, è consigliabile avviare un primo recupero dal primo momento in cui l’organismo si rende disponibile a farlo. Stiamo parlando della prima mezz’ora che segue lo sforzo. In questa finestra di tempo, infatti, le cellule dei muscoli che hanno consumato le riserve energetiche in corso d’esercizio, rimangono “aperte”: si tratta di una particolare fase chiamata insulino-indipendente perché, per stipare glicogeno all’interno delle cellule, non è indispensabile stimolare l’ormone insulina (non a caso anche chiamato ormone dell’immagazzinamento). In questa finestra di tempo, proprio per via dell’esercizio appena svolto, sulle membrane delle cellule compaiono dei trasportatori. Saranno loro stessi a favorire l’ingresso del glucosio all’interno dei muscoli. Scaduto questo tempo, le porte delle cellule tendono via via a chiudersi. Quindi, se lo sforzo è stato intenso o prolungato, il ripristino delle riserve di glicogeno deve continuare anche nei pasti successivi dove sarà importante assumere sì altri carboidrati ma anche le proteine, per favorire il recupero degli stress muscolari e attivare gli stimoli indotti con l’allenamento.

L’integrazione sportiva durante la prestazione: un vero alleato

Nelle prove prolungate (oltre i 60′) e che implicherebbero un parziale o completo utilizzo delle scorte di glicogeno, conviene assumere un integratore che possa fornire zuccheri durante la prestazione. Meglio se in formato gel o miscela liquida. E non tutti in una sola volta. Due sono i fattori principali: scegliere la miscela opportuna (una non vale l’altra!) e assumerli in maniera dilazionata nel corso dell’esercizio, rispettando un preciso timing. Il consiglio, infatti, è quello di assumere 60-75 g di carboidrati all’ora a partire dalla prima ora quando si prevede una prestazione intensa e che si prolungherà oltre le due ore, come nel caso di alcune gare di endurance. Se, come nel mio caso, faticate ad assumere un energetico in una sola volta, allora fate come me: assumetelo in due momenti rispettando la quantità oraria. Il che si traduce, per esempio, nell’assunzione di 30 g ogni mezzora. In pratica mezza porzione di gel o un pezzo di barretta ogni 30 minuti. Con costanza.

Tieni il passo con l’idratazione durante lo sforzo

Se ci si allena o si gareggia ad alte temperature, irraggiamento e umidità possono provocare un’abbondante sudorazione. Non pensate solo alla stagione estiva ma anche a tutte quelle prestazioni che avvengono indoor come l’allenamento sui rulli, lo spinning, la corsa sul treadmill, la remata al remoergometro. Al tempo stesso, man mano che lo sforzo si prolunga, la temperatura corporea può aumentare. Da qui, altre perdite di acqua e minerali che, in alcuni atleti, raggiungono anche 1,5-2 litri, quantità pari al 2-3% del loro peso corporeo totale. A questo punto l’efficienza prestativa peggiora come anche la fatica e la percezione dello sforzo. E non è tutto: si può andare incontro anche a disturbi molto seri per la salute. Il consiglio è quello di assumere una miscela a base di acqua e sali minerali (specialmente sodio e cloro, bene anche il potassio, ottimo se include sodio, cloro, potassio e magnesio) con ritmo costante: un sorso ogni 15-20 minuti anticipando la sensazione di sete. È raccomandato assumere questa miscela in concentrazioni diluite sin dalle fasi che precedono la prova, come ad esempio nel riscaldamento, e nel corso dell’esercizio stesso. Ad ogni modo, l’abitudine a svolgere attività fisica in ambienti che determinano la produzione di elevate quantità di sudore, consente all’organismo di sopportare una perdita superiore di sudore prima di avere un calo dell’efficienza.

 

Bibliografia

  • Bangsbo J. The physiology of soccer with special reference to intense intermittent exercise. Act Physiol Scand Suppl, 619, 1-155, 1994.
  • Equipe Enervit. Strategie nutrizionali: sazietà, dimagrimento e integrazione nello sport. Sport Nutrition Report, 2011.
  • Ferretti F. Calcio: allenamento aerobico di qualità e quantità. Atti del XVI Congresso Isokinetic, Milano, calzetti & Mariucci editori, pagg. 149-156, 2008.

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