Preparare la maratona? Sì all’allenamento funzionale e all’alimentazione positiva

Posted by Elena Casiraghi 30 Ottobre 2018 3 Comments 6151 views

Quando ti metti a dieta è per due motivi. Hai deciso che vuoi rientrare nei jeans di quando avevi trent’anni oppure ti devi mettere in bikini. Per la verità ce n’è un terzo di motivo. Ed è quando vuoi correre forte, ma davvero forte. Tipo arrivare quinta alla maratona di New York, tipo. Il riferimento ovviamente non è casuale. Ha un nome e un cognome. Che fanno Allie e Kieffer. Per la precisione.

Allie a vent’anni era una promessa dell’atletica statunitense. Ma non era magrissima, come imponevano i manuali. Le imposero di mangiare meno per costruirsi un corpo da campionessa. Divenne leggera, ma anche fragile. Nel 2012, alla vigilia delle selezioni per correre i 10 mila metri alle Olimpiadi, la tibia fece crac. Tornò a New York e riprese la corsa solo come jogging per piacere in quel di Central park. Il suo fidanzato poi la coinvolse nei suoi allenamenti di cross fit. In pratica aveva fatto tutto quello che secondo la vecchia scuola non dovrebbe fare una maratoneta. Eppure si è accorta che andava sempre più forte, molto meglio di prima nonostante quasi 5 chili in più. L’anno scorso, a 30 anni, è sbucata come dal nulla al traguardo della maratona di New York. Quinta tra le donne, ha concluso sotto le 2 ore e mezza, migliorandosi di un quarto d’ora. Domenica prossima sarà di nuovo al via, questa volta annunciata come una delle top runner. (Fonte Corriere della Sera)

La nuova era della scienza dello sport

Si sta aprendo una nuova era per il running, soprattutto per quanto riguarda le lunghe distanze. E anche per la nutrizione sportiva, per dirla tutta. Per anni si sono sostenuti diversi miti che ora si stanno scoprendo non così efficaci. Né per la prestazione né per la salute dell’atleta. Tra questi si pensava che per vincere fosse necessario dedicarsi anima e corpo solo alla corsa. E che per correre forte la cosa più importante fosse quella di essere il più leggero possibile, in senso assoluto. Ora i risultati stanno dimostrando che le cose non stanno proprio così e che è necessario pensare diversamente se il desiderio è quello di scrivere importanti prestazioni a breve termine e nel futuro prossimo dell’atleta.

Non è un caso che sempre più atlete allenino la corsa inserendo nel proprio programma settimanale anche ulteriori discipline prese in prestito per esempio dal triathlon. La bici e il nuoto, infatti, posso essere opportunità per ottimizzare la prestazione podistica e ridurre l’usura dell’organismo. E’ il caso di Gwen Jorgensen, campionessa olimpica a Rio 2016 che ora sta tentando la qualifica per Tokyo 2020 nella distanza regina delle corse: la maratona. Guardando, poi, il territorio tricolore fanno scuola anche Sara Dossena e Sara Galimberti, solo per citarne alcune. I benefici? Si potenziano i muscoli, si reclutano un maggior numero di fibre muscolari, fattori che possono da un lato incrementare la prestazione migliorando sia l’efficienza meccanica del gesto sia posticipando l’insorgere della fatica nervosa durante la gara, e dall’altro ridurre il rischio di infortuni. Non solo triathlon ma anche allenamento funzionale sfruttando i circuit training a corpo libero sia a carico naturale che con piccoli sovraccarichi. Niente di nuovo, certo, ma troppo spesso dimenticati. E, non ultima, la corsa in acqua come allenamento complementare alla pista o alla strada.

Leggeri sì ma soprattutto economici

Se si pensa infatti al costo energetico della corsa, in effetti, salta subito all’occhio l’impatto che il peso corporeo può avere sul risultato finale. Così il primo pensiero è quello di ridurre il peso corporeo dell’atleta all’osso. E non è un gioco di parole. Sull’onda di questa credenza, infatti, troppo spesso si sono viste atlete esibire eccessiva magrezza. Si ricorda, infatti, che anche il tessuto adiposo è fondamentale per la salute e la performance: esso, infatti, ormai da un paio di decenni è stato riconosciuto come organo endocrino, responsabile della produzione di diversi ormoni. Una massa grassa inferiore al proprio peso forma –quel peso in cui il grasso e il muscolo sono in equilibrio per intenderci- può sopprimere il sistema immunitario. Questo evento può comportare oltre a malanni frequenti anche un aumento del rischio di infortuni oltre che tempi di recupero presumibilmente più lenti. D’altra parte, se si osserva le top runners di origine africana la prima cosa che balza all’occhio non è certo una magrezza sfrontata ma anzi, al contrario, una composizione corporea più armonica.

Così, tenendo sempre a mente, il costo energetico della corsa, ci si rende conto che oltre al peso corporeo, un altro fattore che può incidere in maniera significativa è l’efficienza del gesto tecnico: una corsa dispendiosa, infatti, comporta una spesa di 1 chilocaloria per chilo (di peso corporeo) per coprire ogni chilometro. Una tecnica invece più appunto economica, invece, ha un costo di 0,8 kcal/kg/km. Questo significa considerando un maratoneta di 75 kg di peso un risparmio di 633 kcal. Da qui l’importanza di dedicare anche momenti all’allenamento della tecnica di corsa, troppo spesso tralasciato.

Efficienza muscolare, economia del gesto tecnico, tutti marginal gains che convogliano al più grande dei marginal gains che si completa al talento e all’allenamento quotidiano: l’alimentazione. Il focus è quello “positivo” come raccomandano la positive biology e la positive psychology; in altre parole focalizzare gli alimenti da mettere nel piatto. Questo approccio infatti permette di ricordare cosa fare e far passare in secondo piano, invece, cosa non fare. Lo sgarro è concesso ma ciò che fa l’abitudine è la quotidianità, non l’eccezione. Nessun alimento vietato, più semplicemente e positivamente un’alimentazione consapevole. Raggiungere e mantenere la forma fisica ottimale per correre al meglio è una naturale conseguenza, non un’ossessione primaria. Non ci sono cibi buoni e cattivi, ci sono alimenti vantaggiosi e svantaggiosi. L’obiettivo è una dieta personalizzata, adatta alle proprie esigenze, prendere coscienza del valore degli alimenti. Con l’obiettivo primario della salute dell’atleta. Perché solo con questo presupposto è possibile costruire la performance sportiva.

Leggi l’articolo intero: Corriere della Sera – martedì 30 ottobre

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