Ironman Hawaii. I grandi numeri di Big Island

Posted by Elena Casiraghi 14 Ottobre 2016 0 Comment 2865 views

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95,7 è un bel numero. 95,7 è un gran bel numero. 95,7 è la percentuale degli atleti finisher, cioè che hanno terminato la gara, al Campionato Mondiale Ironman a Kona (Hawaii) lo scorso sabato 8 ottobre. E’ record di finisher dichiarano le statistiche di IronmanLive.com con un cinguettio su Twitter. In aumento negli ultimi due anni. Analizzo i dati e mi accorgo che gli uomini e le donne, sia PRO che Age-Group, vanno sempre più forte. Non c’è storia. Anche i loro fisici sono sempre più tirati a lucido. Go big or go home ricorda il motto. Ma qui di big ce ne sono davvero tanti. Eh già perché in realtà a Kona o ci vai in vacanza o ci puoi accedere solo se sei tra i migliori al mondo nell’ironman. Nessuna possibilità di iscrizione. Tutti qualificati aggiudicandosi il titolo di miglior atleta della propria categoria. Solo 4,6% sono stati i ritiri nella prima frazione, quella di nuoto. E da considerare che il tempo totale per coprire tale distanza si è ridotto progressivamente negli ultimi 10 anni, fermando il cronometro per le donne sempre più vicino allo scadere dell’ora e per gli uomini intorno ai 55 minuti. Solo l’1% i ritiri nella frazione di ciclismo.  Mi viene istintivo pensare che le attrezzature sono sempre più evolute: c’erano bici che sembravano moto. O forse erano i loro atleti a spingere forte come motociclisti. Senza paura. Col coraggio di azzardare. Ma poi in realtà penso anche che quell’andata e ritorno quasi a bastone ti obbliga, in caso di ritiro -guasto meccanico permettendo- a fartela comunque sulle tue gambe per tornare alla base. E quindi se vuoi mollare, forse ci pensi due volte. Forse. Nella corsa, infine, i ritirati sono stati il 3,2% dei partecipanti. Record tra i PRO dove il tedesco Patrick Lange -terzo al traguardo- scrive un nuovo record sulla frazione azzerando quello storico e ultradecennale del no plus ultra Marc Allen che nel 1989 -ragazzi, nel 1989!- aveva corso in 2h40′. E anche tra le donne è spettacolo: la svizzera Daniela Ryf che vince siglando il nuovo record della gara con 8h46′ e insieme a “Rinny” -all’anagrafe Mirinda Carfrae- chiudono la frazione a piedi sotto alle 3 ore. Le donne, infatti, considerando il tempo medio tra tutte le categorie si rivelano sempre veloci e nel complesso hanno un gap rispetto agli uomini di circa solo 18 minuti negli ultimi 10 anni. La maratona è donna. Sostengo sempre. Ma in realtà è la scienza a dimostrarlo. La meccanica di corsa e la fisiologia, infatti, sono dalla loro parte. Un bacino più largo e di conseguenza un angolo dei femori più inclinato rispetto agli uomini favorisce -specialmente nella corsa del triathlon, cioè quella eseguita dopo la frazione di ciclismo- una minor spinta con gli arti inferiori e una maggior frequenza di appoggi a terra al minuto. Non ultimo, le donne possiedono sì riserve di glicogeno limitate rispetto ai colleghi uomini ma sono anche in grado di ossidare meglio i lipidi per produrre energia. Infine, mi piace anche pensare che, oltre ad una maggior attenzione, conoscenza e sviluppi circa la metodologia dell’allenamento, si stia sviluppando una sempre maggior cura dell’alimentazione in fase di preparazione, cioè quella abbinata all’allenamento al fine di ottimizzarne l’efficacia, ma anche una sempre crescente dedizione al mondo dell’integrazione sportiva, intesa come strategia nutrizionale per massimizzare la performance. Per far questo non è sufficiente conoscere gli alimenti dal punto di vista biochimico ma occorre comprendere in maniera approfondita l’organismo e la sua fisiologia, ovvero come il metabolismo si modifica durante lo sforzo. Dopo tutto la storia insegna che è dalle piccole cose che nascono quelle grandi. Mi piace pensare che da questa piccola isola di poco più di 10 mila metri di superficie possano nascere grandi imprese, tali da influenzare la ricerca scientifica e quella di nuovi materiali e attrezzature. Mi piace pensare alla forza di quell’isola, così vulcanica e catalizzante. Tutto, insomma, fuorché piccola. Per questo il suo nome non poteva essere che The Big Island. In quell’isola tutto è davvero big.

 

 

 

 

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