Quando i duri iniziano a “giocare”. Col podio

Posted by Elena Casiraghi 8 Settembre 2015 5 Comments 5393 views

 

Remi

Aguibelette 2015.

Seguo le barche di questo Mondiale Assoluto di canottaggio proprio come se mi trovassi ancora su uno di quegli scafi.

Il cuore batte forte: un po’ per la tensione, un po’ per l’emozione.  Il respiro si fa corto, fatico a cercare una ventilazione ampia e profonda. Il diaframma è teso e mi sembra che i polmoni siano “in riserva” di ossigeno.

Temperatura perfetta. Vento quasi assente. Condizioni atmosferiche ottimali per la gara.

Riscaldamento fatto. Fibre muscolari reclutate. Sistema cardiovascolare attivato. Gel a base di maltodestrine e fruttosio preso. Un sorso di acqua… e ci siamo.

Entriamo nella nostra lane per allinearci. Pochi minuti al via.

L’adrenalina sale, le mani iniziano a sudare, ma i remi sono saldi e allo stesso tempo morbidi in mano.

USA. Italy. Germany. France. Denmark. Great Britan…Attention… GO!

Partiti.

Buona la partenza. Forte e veloce. Ai primi 300 metri siamo ancora tutti lì con le prue quasi allineate. Pochi istanti dopo qualche pallina inizia a sfilare e a portarsi in testa. Ma il distacco dagli altri è sempre minimo. Siamo tutti ancora in gioco. Difficile però scendere sul passo gara. I colpi sono molto alti e i carrelli corti, ma il colpo in acqua c’è.

E’ fondamentale ora trovare il passo gara.

Ai 750 m gli avversari si preparano all’attacco. Impensabile però per noi salire ancora di colpi..

Ai 1200 m siamo ancora lì anche se ormai i primi tre scafi sono già in testa a darsi battaglia. Noi siamo ancora presenti nello schermo del televisore. Ancora per pochi secondi però.

A quel ritmo le gambe iniziano a bruciare oltremodo, molte fibre muscolari della gambe iniziano ad esser messe fuori uso, avvelenate dagli ioni H+ dell’acido lattico che sfuggono ai sistemi tampone endogeni e che non siamo in grado di rimettere in circolo e smaltire; gli avambracci si induriscono e il colpo in acqua perde potenza.

Ai 1600 è ormai chiaro che siamo fuori gara per il podio e purtroppo… anche dallo schermo.

E’ un film già visto e che si sta ripetendo: la Nazionale Italiana una volta era sul gradino più alto del mondo e ora sfugge ai bordi degli schermi.

Il mondo intero ha attinto dalla nostra tecnica di remata, quella a “pendolo”. Ma ora ripetere gli allenamenti degli anni d’oro del canottaggio italiano forse non è efficace nè produttivo.

Forse la metodologia dell’allenamento nel tempo si è evoluta. E se il desiderio è quello di tornare a vincere è indispensabile stare al suo passo. Mantenere i suoi colpi in acqua al minuto. Si tratta di continuo studio e osservazione, confronto e sperimentazione. Ma per vincere bisogna evolversi: chi si ferma è perduto.

Valori ematici di potassio elevato durante il mese di preparazione al mondiale potrebbero rappresentare eccessivo lavoro anaerobico, quello fuori soglia. Questi dati non devono essere “tamponati” con dubbi metodi, più alchimistici che scientifici, ma analizzati come specchio dell’adattamento dell’organismo agli stimoli dell’allenamento.

L’eccessivo lavoro anaerobico ed il carente allenamento sul passo gara porta gli equipaggi italiani ad ottenere buoni risultati nei primi mille metri di gara, ma per il seguito del percorso li condanna a perdere potenza e velocità quando il gioco si fa duro. Quando i duri iniziano a “giocare” (col podio).

E’ da considerare che il medesimo piano di allenamento non può essere adottato da atleti uomini e donne indistintamente poiché i due sessi per caratteristiche fisiologiche necessitano di stimoli di allenamento differenti e tempi di recupero assolutamente dedicati.

Già il recupero… a volte viene considerato “questo sconosciuto”. Spesso si dimentica che è uno dei protagonisti della supercompensazione, cioè del modello fisiologico di adattamento dell’organismo agli stimoli dell’allenamento, a prescindere dal quale non si può ottenere una crescita della prestazione ma esclusivamente una sua decrescita.

C’è chi poi ha effettuato un tentativo di inserire nuove figure di supporto sia agli atleti che agli stessi tecnici, come la figura a sostegno dell’alimentazione e dell’integrazione sportiva e quella a supporto dell’aspetto mentale. Ottimo… ma, ahimè, senza considerarlo parte di un progetto a lungo termine da parte della Federazione.

Insomma, tanti sono i segnali di questo mondiale da leggere attentamente, analizzare e non sottovalutare. Nello sport, come nella vita, dopo ogni crescita segue sempre un momento di adattamento-assestamento che porta nel tempo ad una sua rottura dell’equilibrio e nuovamente ad una crescita, e via.

Concludo sottolineando che questo post non vuol essere in nessuna sua parte un pensiero polemico fine a se stesso. Sarei felice che le mie considerazioni possano rappresentare una spinta verso una valutazione costruttiva dei fatti, affinché gli armi azzurri possano ritornare a farci battere il cuore per l’emozione, frutto del sacrificio degli atleti, supportati da uno studio e aggiornamento costante e di un’osservazione attiva da parte di chi programma e segue il loro allenamento.

Elena Casiraghi

 

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