La Maratona di New York. E il suo fiume magico

Posted by Elena Casiraghi 3 Novembre 2016 0 Comment 3119 views

new york marathon

Quando l’idea della Maratona di New York venne concepita, lo scopo era interessare la gente alla corsa. La maratona cittadina era un viaggio in un’affascinante giungla urbana, un viaggio in un territorio inesplorato dell’anima e un allargamento dei propri orizzonti fisici. Il 13 settembre 1970, 126 corridori parteciparono alla prima maratona di New York. Il percorso prevedeva quattro giri di Central Park. Solo 55 riuscirono ad arrivare al traguardo. L’attenzione non fu molta: solo qualche spettatore occasionale quel giorno, qualcuno che si trovava al parco con lo skateboard. O col cane. C’era anche qualche coppia di fidanzati. Anche al traguardo quasi nessuno se non i parenti dei partecipanti. Non c’era traccia nemmeno della stampa o della televisione.

Il cinquantesimo classificato era un uomo con la barba. Si chiamava Fred Lebow. Aveva un forte accento rumeno. Perché quella era la sua origine. Era nato nel 1932. Era il sesto di sette fratelli. Era lui uno degli ispiratori della corsa. Era stato lui a trovare 1000 dollari necessari a coprire le spese dell’organizzazione. Che in realtà erano stati utilizzati principalmente per acquistare i premi e il necessario per i rifornimenti. Aveva iniziato a correre solo da un anno. Ma la corsa lo aveva subito preso. A tal punto che desiderava che tutto il mondo corresse. Adulti, giovani, bambini, donne e anziani. Desiderava che tutti corressero sulle lunghe distanze. Soprattutto perché sapeva che correre faceva bene allo spirito, alla qualità del lavoro, rinvigoriva il corpo ed era una pratica preziosa per la salute del cuore. Il jogging, infatti, ormai da 10 anni, veniva raccomandato dai cardiologi. Prescritto come una medicina. Preventiva e curativa.

Sei anni dopo la prima edizione, la maratona di New York registrava 1549 atleti. Molti respinti per limite di iscrizione. Di questi 63 erano donne. C’era qualcosa di magico e di contraddittorio allo stesso tempo. La grande città era una destinazione esotica. New York era considerata la capitale della modernità, della finanza, dei motori. E la magia stava nello stupore della gente che per un giorno ottenevano il controllo della grande giungla e in più venivano festeggiate da un muro lunghissimo di spettatori.

La maratona, in tutto il mondo, era ormai diventata più un rituale da superare che non una gara in cui raggiungere un buon piazzamento o un buon tempo. Era simbolo di vigore e volontà.

Ma non tutti la pensavano così. Jean Baudrillard, filosofo francese (1929-2007), sosteneva che la maratona era una specie di suicidio pubblico, il cui semplice scopo era dimostrare che la si poteva finire. Ma a quale prezzo? Era molto polemico verso la maratona. Se la morte per sfinimento che fu il destino di Filippide quando porta ad Atene la notizia della vittoria di Maratona, più di 2000 anni fa aveva un significato, il sacrificio di questi corridori era privo di senso. Poiché privo di messaggio. Il loro unico messaggio era la notizia del loro arrivo al traguardo. Un messaggio oscuro. Uno sforzo sovrumano ma futile.

Insomma, cara Maratona di New York, ti hanno tanto amato e tanto odiato. Ma la tua storia è affascinante. Come il messaggio degli oltre 50.000 partecipanti e degli oltre 2 milioni di spettatori pronti a far frizzare l’aria sul percorso.

Cara Maratona di New York, tra poco tocca ancora a te spegner le candeline. Tra poco è nuovamente il tuo giorno. Che le tue 46 candeline possano farci brillare gli occhi come stelline luminose e riempire l’atmosfera di tanta magia che con tanto fascino, come una donna elegante e matura, da tempo ormai porti con te. Che il tuo messaggio di energia, di speranza, di pace, di unione, di collaborazione, di fatica -perché poi la sofferenza unisce sempre e lo sport ne è maestro- possa sentirsi forte e chiaro e il suo eco scivolare per i cinque distretti della città fino a Central Park come un grande abbraccio. E oltre.

Gare come queste sarebbero rimaste nella memoria per tutta la vita. Scriveva Thor Gotaas. E come dargli torto.

 

Fonti:

Gotaas Thor. Storia della corsa: sfide e traguardi nei secoli. Ed. Odoya, 2011.

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